mercoledì 27 maggio 2015

Europa e l'innovazione sociale.

L'innovazione sociale (social innovation) è considerata dall'Europa uno dei driver più potenti per la creazione di un nuovo modello economico. Un complesso e crescente mondo che include parole come sharing economy, smart cities, open government e social impact, ma anche modelli nuovi di impresa e di business.
A questa riconosce diverse linee di finanziamento come ad esempio: il nuovo programma quadro per la ricerca Horizon 2020 "Europe in a changing world", le call dell'area INSO (social Innovation), l'obiettivo trasversale "Science With and For Society"sempre di H2020 e il programma Employment and Social Innovation (EaSI)
Ma andiamo con ordine. Facciamo prima una sorta di punto sul modo attuale di intendere la "social innovation".


IIn questo periodo storico in cui le imprese e dell’economia sono messo a “ferro e fuoco” dalla crisi, dove si va alla ricerca di modelli economici nuovi, fra nuove esperienze, sostenibilità, resilienza e sharing, si aprono i cancelli per i più visionari e futuristici. Una nuova sfida. Un campo definito dai termini “innovazione sociale” che cerca la sua identità.

La ricerca di nuovi percorsi in grado di ridefinire il modello di “creazione di valore”. Un “mercato” visto e approcciato in maniera “diversa”, che parte dal basso e che dal basso riceve i segnali per esistere. Un mercato partecipe, dove il cliente è protagonista attivo della creazione del prodotto che richiede.
Questo sottende, per le imprese, la possibilità di una efficace e sostenibile creazione di una nuova idea di prodotto, servizio, modello: trasformarsi in promotori, attori e protagonisti di pratiche di Social Innovation.
Partiamo da alcune semplici domande:
Può un’impresa dare risposta a bisogni sociali emergenti, presenti e passati, in modo innovativo, creando al contempo valore (non necessariamente economico) anche per se stessa? Come?
Come può un’impresa, attraverso la propria “value propostion” collocarsi come “attore di sostenibilità e miglioramento sociale” del contesto sociale in cui opera utilizzando il proprio business come leva per la creazione di nuove relazioni, collaborazioni e partnership e per proporre una risposta efficace (e redditiva) a istanze della collettività, sviluppando il proprio business?
Immaginiamo, per il domani, alcune sfide, alle quali in un mondo “globalizzato”, connesso e unico come il nostro, non ci si potrà sottrarre:
- una emergenza ambientale: un imminente possibile “disastro” globale (Global Change, Global Warming, perdita di biodiversità, necessità di cambio del sistema di risorse e quindi necessità di riprogettare il modello di vita) in un pianeta che a oggi conta 7,3 miliardi di persone, con squilibri sociali, economici e di accesso a servizi e risorse completamente differenti. E che non può impedire, ad esempio, ad un miliardo e 300 milioni di cinesi e un miliardo e 100 milioni di indiani contendersi lo stesso petrolio, la stessa acqua, la stessa aria per mutuare il modello si sviluppo che l’occidente ha rincorso fino ad oggi. O a un miliardo di Africani, che non riuscendo a mutuare un modello occidentale nel proprio territorio (anche a causa delle ingerenze dell’occidente) e subendo inoltre più di altri gli effetti del cambiamento climatico a migrare in massa verso opportunità di vita.
- una frattura demografica. Il vecchio continente, lo sta diventando veramente. Fra i più veloci in questo cambiamento ci sono l’Italia ed il Veneto. È in atto un aumento della longevità della vita (positivo) che diventa un problema paragonato a una diminuzione delle nascite. Realtà che scardina da noi i sistemi (oggi sempre più inadeguati) di welfare e di società. Inoltre le natalità immigrate superano quelle nostrane;
- un progressivo declino dell’occidente, che tradotto in altri termini rappresenta la fine del “dominio” dell’“uomo bianco” sul mondo.
Oltre a questi temi globali ne penso due molto più vicini al nostro sistema, senza alcun desiderio di interpretazione morale:
Il primo: In Italia, ma anche in altri paesi europei, lo stato sociale è in fase di contrazione. In Italia, legato molto a logiche assistenzialiste e non imprenditoriali, con il “terso settore” o il “no – Profit” rispondeva a bisogni dove lo stato non arrivava. Oggi, anche a causa di una robusta contrazione delle risorse provenienti dalla PA, soffre la carenza di una estesa capacità imprenditoriale, quella capace di assicurare sostenibilità alla propria impresa.
Il secondo: la crisi economica, che ci ha anche edotto sul fatto che non siamo scollegati dai problemi degli altri, ma anzi in maniera ognuna propria ne subiamo gli effetti, solleva e fa emergere nuovi bisogni sociali e rafforza, appesantendoli, i vecchi.
Il terzo: il nostro tessuto produttivo costituito, per la maggior parte, da medie, piccole e micro realtà imprenditoriali generalmente slegate e contrapposte, non regge la sfida globale che sposa grandi volumi ad attenzione al singolo e sempre maggiore personalizzazione. Anche a causa dello smarrimento di una identità di prodotto e servizio tailored sul bisogno del singolo cliente, a fronte della produzione di serie, e con un percorso forte di valore, tipico della cultura no profit, che va recuperato, esteso e migliorato.  
Ma crisi, nella lingua cinese è un ideogramma composto da due simboli, che, separatamente significano “pericolo” e “opportunità”(figura all'inizio del post)
In questo scenario di nuovi bisogni, sfide globali e opportunità le imprese (tutte) non possono permettersi di non sedersi a questo tavolo, non possono permettersi che il know how di cui sono portatrici sia tagliato fuori da una logica differente, attenta al percorso, al valore, alle persone. Una logica che rovescia le dinamiche che fino a ieri reggevano i percorsi di mercato. Oggi e sempre di più inefficaci. Da questo tema passano le future sfide di un vantaggio competitivo (o meglio, di un “vantaggio collaborativo”) per le imprese stesse.

“Social innovation can be defined as the development and implementation of new ideas (products, services and models) to meet social needs and create new social relationships or collaborations. It represents new responses to pressing social demands, which affect the process of social interactions. It is aimed at improving human well-being. Social innovations are innovations that are social in both their ends and their means. They are innovations that are not only good for society but also enhance individuals’ capacity to act.” Da Guide to Social Innovation 2013 – European Commission

In questo estratto la EC non fa nessun riferimento esplicito alle “imprese sociali”, di fatto lanciando un sasso verso il superamento di una distinzione profit / no profit, basata sull’impatto sociale. Superamento che alcune nazioni hanno già formalizzato (Francia, ad esempio).
E’ giunto il momento di avviare, per le imprese, un percorso di raccordo delle dualità che le caratterizzano (capitale e lavoro, ambiente e salute, economia ed ecologia) per abbattere un modello capitalistico obsoleto, iniquo e insostenibile e per ri - costruire un nuovo modello economico, sostenibile allo stesso tempo in senso sociale, ambientale ed economico.
E proprio in questa ultima affermazione che passa operativamente il tentativo per le imprese di inserirsi in tale processo di innovazione: attraverso azioni che sono allo stesso tempo capaci di produrre economia e miglioramento sociale.
Questo richiede anche il passaggio da un’ottica di "donazione" tipica di un certo modo di concepire la CSR, a un’ottica di rete, di ascolto, di co-progettazione, di condivisione delle azioni e dei fini.
In primis fra produttori e venditori di servizi e cliente, e, in Italia, anche tra mondo profit e No profit portatore di istanze e bisogni sociali, in grado di conciliare le esigenze di attori estremamente diversi tra loro in quanto a profilo culturale, metodologico e valoriale. La complementarietà delle risorse dei partner offre l’opportunità di generare soluzioni win win, in cui entrambe le parti perseguono i propri obiettivi sfruttando i vantaggi della collaborazione e ragionando in termini di innovazione.

Il presupposto è semplice: l’azienda prospera se il territorio, in cui opera, prospera (e viceversa). L’intuizione dello Shared Value può essere d’aiuto: mappando la catena del valore di un’impresa (asset, processi, attività già in essere presso l’impresa) è possibile identificare le aree ad alta potenzialità di generazione di valore condiviso, utile all’azienda e al contesto in cui opera. 
Si tratta di lasciarsi guidare dall’efficienza (utilizzando quindi tutti gli asset al massimo delle possibilità), di aprirsi ad una nuova cultura d’impresa, trasparente e collaborativa, in grado di trasformare l’impresa in interlocutore credibile in tema di innovazione sociale.
Identificare e mettere a disposizione le proprie leve di valore (come il know how, l’infrastruttura, i sistemi di gestione) a partner in grado di soddisfare bisogni sociali, entrando in una logica multidirezionale (impresa, partner, stakeholder, società), reticolare, di network.
Il processo di ricerca e sviluppo di un’impresa è un utile esempio, per quanto semplificato: abbracciare nell’azienda una strategia di innovazione sociale, significa trasformare le attività Ricerca e Innovazione Tecnologica da attività tipicamente interne a processi aperti e informali, che attivano intelligenza collettiva ed economie collaborative

Un ulteriore esempio ad alto potenziale è offerta dall’interazione strutturata e innovativa con i fornitori che compongono la supply chain, per rafforzare ad un tempo le attività di impresa, permettendo una crescita organica dei fornitori stessi, che a loro volta, incrementando la propria competitività e rilevanza sociale, possono farsi portatori di soluzioni innovative nei contesti di riferimento.

E ancora, da un altro punto di vista ad approccio più allargato, la strategia verso l’innovazione sociale si sposa con la crescita e lo sviluppo di un’idea di Smart Cities, dove le diverse componenti della società, unite da soluzioni tecnologiche innovative, individuano modelli di sostenibilità all’interno degli agglomerati cittadini, modelli fatti di relazioni, di servizi innovativi efficaci ed efficienti e di prodotti, attenti ai bisogni e alle persone, ma anche a peculiarità territoriali e culturali.

E proprio negli agglomerati cittadini che i megatrend che ci aspettano si faranno sentire forti nei prossimi anni, di cui ricordo, ad esempio: concentrazioni abitative, gestione intelligente e sostenibile in relazione alle reti energetiche, alla mobilità, agli edifici; efficienza energetica ed emissioni zero; popolazione giovane (indiana, cinese, filippina e africana) in Europa e, di contro, il 20% del totale mondiale di popolazione ultraottantenne; interazioni fra individui, macchine ed organizzazioni, integrazione di cloud pubblici e privati (Big Data), ambienti di simulazione (difesa, medicina, educazione, mobilità, solo per citarne alcuni), modelli di business basati sulla condivisione di risorse (ma anche di infrastrutture, macchinari, servizi), connettività principalmente wireless, ulteriore sviluppo della banda in termini di ampiezza e disponibilità da cui deriveranno nuove generazioni di applicazioni e servizi, intelligenza artificiale, esigenze sociali di ridurre a zero difetti, tecnologie emergenti (nano materiali, elettronica flessibile, laser, materiali intelligenti),  nuove infrastrutture e nuove soluzioni tecnologiche, nuove terapie, valore sociale della salute ed del benessere, metodi di prevenzione e di cura, automazione industriale, tecniche di intelligenza artificiale, robot intelligenti, produzione più rapida, efficiente e sostenibile, e quindi scomparsa di alcuni lavori, riuso, seconda e terza vita dei beni, reti multiple, integrate ed intelligenti e capacità di immagazzinare meglio e di più l’energia (storage).

Si tratta di un cambiamento culturale forte, che poggia sulle spalle della responsabilità sociale di ognuno, per uscire da una logica di “protezione” degli asset (operativi, reputazionali, etc.) ed entrare in un nuovo modello di vera creazione di valore.
Si tratta di un cambiamento forse ineluttabile per le imprese che aspirano a mantenere una leadership nelle pratiche di sostenibilità come strumento di competitività: un nuovo punto di vista, un nuovo modo di osservare i bisogni, sociali ed economici, e di interpretare il ruolo dell’impresa, rileggendo la propria identità (ottimizzando tutti gli strumenti già a disposizione), per offrire risposte condivise e sostenibili.

Nessun commento:

Posta un commento