lunedì 20 luglio 2015

Perché fare un progetto europeo?





Salve a tutti quelli che mi leggono.
Dopo un po’ di tempo dedicato alla stesura di progetti su alcune call, eccomi di ritorno a scrivere un pezzo sul mio blog.
Mi aiuta partire dalla domanda che spesso mi viene posta: perché fare un progetto europeo?

Ritengo che la risposta possa essere divisa in due parti: la prima per provare a intendersi sulla parola “progetto”. La seconda sull’aspetto Europeo.
La parola che deriva dal latino, ha questa etimologia: pro avanti jacere gettare, ossia “ciò che viene gettato davanti
Nella vita, più o meno, tutto può essere definito come un “progetto”. Di solito comincia da un pensiero, un’idea, scatenata da un problema, da un bisogno o da un desiderio. A cui questo progetto dovrebbe portare una soluzione e un appagamento.  
A volte, invece, e sono le più rare inizia, con una intuizione (frutto di creatività o di un  processo di astrazione), su una qualche “cosa” che non esiste, ma che, se ci fosse, porterebbe un cambiamento, e magari per tanti, non solo per l’ideatore.
Nella vita comune il termine “progetto” viene applicato alle più svariate categorie e ad ambiti molto differenti: dal progetto di vita, con variabili note e ignote, al progetto di “avere” una casa, prima ancora di “fare” una casa. A progetti calati sui bisogni (primari, cibo, acqua, casa o edificio ecc…) sia singoli che di società.
A questo punto la Vostra immaginazione può spaziare in lungo e in largo.
Quindi cosa significa fare un “progetto”?
Significa fare uno “studio” preparatorio di un’impresa, di un’opera, di un servizio o di qualsiasi altra prodotto che abbia bisogno di una preparazione, di condizioni e di risorse per essere attuata.
Tralasciamo, per un attimo, ora, i progetti della “persona” intesa come singolo individuo riferiti alla sua vita e alla sua evoluzione.
In tutti i casi in cui, attraverso un progetto si punta alla realizzazione di un’opera o di un servizio, una delle voci ineludibili sono le risorse. Dentro a questo capitolo ci sono (uso termini nel loro senso generale) macchine, know-how,  strumenti, lavoro di persone.
Quando un ideatore ha la possibilità di trovare tutto ciò nel suo “magazzino”, compresi i soldi per pagare le persone, redige un progetto, pianificando obiettivi, azioni, tempi, risultati e prodotti (se è bravo anche verifiche dell’esecuzione). Dopo le opportune verifiche del progetto, investe le sue risorse e lo esegue. 
Se invece il “magazzino” è sprovvisto delle risorse, risulta necessario trovare le risorse che mancano. Per trovare queste, nel nostro sistema economico, sono necessari i soldi.

A questo punto o uno ne ha o li chiede. Generalmente, la stragrande maggioranza, si avvale di risorse private erogate, con interessi, da enti di credito (banche, fondazioni, assicurazioni).
Questo porta una aggiunta al lavoro del progettista, perché i soldi prestati vanno restituiti. Quindi la pianificazione delle attività post realizzazione del progetto va accuratamente ragionata per prevedere dei tempi di rientro.
Molte volte, però succede anche il caso opposto.
Ci sono entità che elaborano strategie, programmi, piani di sviluppo e obiettivi generali da raggiungere. Queste entità hanno le risorse economiche. Ma a queste entità di norma, mancano le altre risorse: realizzatori concreti dotati di strumenti, mezzi, know – how e lavoro di persone.
Nel privato, sappiamo bene quali siano i meccanismi.
Quando le risorse sono pubbliche, le risorse economiche non sono, spesso, “prestate” ma sono “erogate”a fronte di servizi o prodotti realizzati, ed è il caso dei bandi d’appalto, call for tender in inglese, o a fronte di progetti che portino risultati (beni o servizi fra i quali metodi, pratiche, modi e approcci) che permettano all’ente pubblico di raggiungere il PROPRIO obiettivo pianificato (e queste sono note come call for proposal).
Quindi, con denominatore comune un’ottica WIN WIN (ossia tutti raggiungono i propri obiettivi desiderati: “vincono tutti”), il “mio” progetto, sia io un ente pubblico o privato, deve entrare nella “rotaia” definita dall’ente pubblico erogante (con stessa direzione e verso) anche se può avere una forma sconosciuta all’ente erogante. Rotaia definita dal mainstream politico.
Cosa voglio dire? Che il progetto, pur essendo mio, diverso da tutti gli altri, e che raggiunge anche obiettivi miei, contribuisce, molte volte in una maniera sconosciuta a chi eroga, al raggiungimento degli obiettivi dell’ente erogante.

In questo inserisco qui il fattore tempo. Per necessità di controllo e concretezza ogni progetto ha un tempo di vita: specialmente in quelli finanziati da risorse pubbliche esiste un inizio (giorno/anno), una durata (mesi/anni) e una fine (giorno/anno). Sono i prodotti del progetto e/o gli effetti e le condizioni e/o l’utilizzo dei servizi e/o i benefici che devono durare dopo la fine del progetto.

Questo, ovviamente, è il caso dei famosi progetti europei. Dove le risorse (fondi europei), per motivi che non vi esplicito ora sono notevoli e a disposizione di chi si vuole cimentare in queste gare.

In ogni caso, sia l’ente erogante pubblico o privato, lo stesso determina delle regole e/o dei metodi per eseguire i progetti che hanno una duplice funzione: agevolare nella stesura il proponente e agevolare nella valutazione l’ente erogante.  Non solo in termini di contenuti ma anche in termini di strutturazione della proposta progettuale.
Capita anche che strumenti di progettazione esecutiva prodotti da altri enti, siano presi, modificati in maniera per renderli più adatti al contesto progettuale dell’ente erogante e utilizzati (ad esempio il WBS).
Nonostante oggi si stia arrivando alla prassi di presentare progetti in format online, questo non deve indurre a pensare che il lavoro di progettazione precedente (con strumenti adeguati all’idea progetto) sia inutile. Anzi. Diventa fondamentale per creare una struttura e non trovarsi a improvvisare scelte o decisioni durante una compilazione online.

Molti sono i metodi di progettazione pensati e poi applicati. Ne elenco qualcuno per conoscenza fra i più famosi: RAF (Ricerca Formazione Azione, FR, 1960); WBS (Work Breakdown Structure, USA, 1960; ZOPP (ZielOrientierte Projektolanung, D, 1970); MARP (Metodo Accelerato di Ricerca Partecipativa, GB, 1980); SWOT (Strength, Weaknesses, Opportunities, Threats, oggi strumento, inizialmente usato come base per progetti, UE, 1980) PCM (Project Cycle Management che contiene anche il Logical Framework  ed il Problem Tree, UE by EuropeAid, 1992. 

Eccoci quindi al contesto Europeo. Perché, se faccio un progetto, lo inserisco nel contesto Europeo? 

Nella concezione tipica e più spicciola, il proponente medio lo fa per ottenere i fondi pubblici.
Che tradotto significa risorse economiche non in prestito e quindi non da restituire. Anche se oggi, per la maggior parte in cofinanziamento (ossia in % sui costi ammissibili).
E, troppo spesso, lo fa ignorando politiche, finalità, contesti, che potrebbe essere anche ammissibile, ma anche ignorando quale strumento sia il più adatto alla SUA idea di progetto (ossia se fondi europei, fondi regionali, finanziamenti, linee ministeriali e/o governative).

Ricevo, anche oggi, richieste del tipo “devo cambiare la macchina per fare gli stampi e metterne una più moderna, e vorrei sapere se ci sono dei fondi europei a cui attingere”. Nonostante probabilmente questa “macchina moderna” è sul mercato perché il committente l’ha vista a una fiera, e quindi NON è una sua innovativa idea ma una necessità di produzione, di certo non è direttamente all’Europa che può andare a chiedere.  Potrà, forse, richiedere un finanziamento per l’ammortamento del costo della macchina per qualche anno in qualche linea governativa (Legge Sabatini ad esempio) o altre.
In linea di massima le attività che durante l’esecuzione del progetto o alla loro realizzazione o strettamente commerciali NON sono finanziate, o  nel caso siano inserite nei progetti, abbassano la quota di cofinanziamento europeo.   

La risposta al perché faccio un progetto europeo non può e non deve essere mai solo “soldi”.
Il contesto Europeo è altro. E’ imparare metodi e modalità. E’ lavorare in network, con culture e approcci differenti. Ampliare i nostri limitati, e a volte limitanti, contesti locali per ottenere conoscenza e capacità superiori. Sperimentare modi, metodi e risultati che portino davvero a cambiamenti. Ideare finalità di prodotti, che non siano solo dedicato al beneficio di pochi o del singolo, ma ad un bene superiore rispetto a quello del singolo individuo. E che quindi che risponda all’utilità di tutti (o di fasce estese della popolazione europea).

Competizione alta, grande capacità e propensione alla collaborazione, contesto innovativo e stimolante e opportunità che crescono al crescere della professionalità dei partecipanti. Questo è il contesto europeo in cui sono inserite le call.

Insieme a tutto questo è anche risorse economiche. E anche tante.
Ma quelli che hanno ottenuto i finanziamenti, con cui ho avuto il piacere di parlare, non mi hanno fatto rilevare l’aspetto economico dei loro progetti, quanto avevano preso come contributo, piuttosto quella che era la loro evoluzione e crescita in termini, prima di tutto, di attività e metodi lavorativi, idee, network e progettualità.
Molte volte a realizzare uno sviluppo reale che porta un aumento attraverso la capacità di fare meglio con meno o con le stesse risorse.
Quindi, non fate una richiesta pensando solo ai soldi. Non è utile per avere fondi dall’UE.