martedì 3 maggio 2016

La commissione europea vieta, nei progetti H2020, l'utilizzo dei cococo, cocopro e assegni di ricerca all'Università Italiana.


La commissione europea ha stabilito nell’Annotated Model Grant Agreement (AMGA) con un documento divenuto noto il 26 ottobre scorso in un evento organizzato dall'APRE (H2020 Communication Campaign ‘How to avoid Financial Errors') che assegni di ricerca,  co.co.co e co.co.pro non sono previsti come costi ammissibili e quindi accettati dall'Europa per le rendicontazioni dei progetti di H2020. Quindi, di fatto, ridimensionando in maniera significativa la possibilità della rendicontazione dei c.d "Inhouse consultants".

Perchè? Le obiezioni sollevate dall'Europa sono di tipo contrattuale e tecnico, ovvero riferibili alla legge 240/2010, meglio nota come legge Gelmini (art.22) e si possono riassumere in due frasi:

1) gli assegnisti di ricerca non hanno un monte ore lavorativo correlato alla retribuzione

2) gli assegni di ricerca non sono contratti di lavoro subordinati, sono privi del vincolo di subordinazione difatti versano i contributi alla gestione separata INPS

Un'ipotesi ventilata dalla Commissione per poter far ricorso agli assegni di ricerca è quella di prevederli all'interno dei costi riferibili ad affidamenti di servizi esterni ovvero secondo la procedura della best value for money, cioè una gara di preventivi.
Evidentemente tale ipotesi non è applicabile ai bandi sugli assegni di ricerca perchè appunto, si tratta di bandi pubblici con un concorso per titoli ed esami il cui importo è stabilito sul bando stesso e il candidato non offre certo un preventivo.
Oppure di considerarli all’interno dei Indiretti (forfettario 25%). 

Per tutta risposta il Codau (Convegno dei Direttori Generali delle Università Italiane) e l'APRE (Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea) hanno risposto all'Europa affermando che, per la realtà legislativa italiana, tali tipologie sono assimilabili ai contratti subordinati per la sussistenza di tre requisiti: la continuità, che ricorre quando la prestazione perduri nel tempo; la coordinazione, intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell'organizzazione aziendale; la personalità, che si ha in caso di prevalenza del lavoro personale del preposto sull'opera svolta dai collaboratori e sulla utilizzazione di una struttura di natura materiale”. Citando, a questo proposito diverse sentenze della Corte di Cassazione: Cassazione n. 7785 del 1997, Cassazione n. 6752 del 1996, Cassazione n. 3485 del 2001, Cassazione n. 14722 del 1999.


Il Governo italiano sembra essere determinato, per il momento, nel mantenere la situazione attuale all’interno del mondo della ricerca.
Infatti il Miur ha inviato alla UE una comunicazione specificando la situazione italiana e, in sostanza, richiedendo, di nuovo, il riconoscimento, come veniva attuato nel 7imo programma quadro 2007 – 2013,  delle forme contrattuali presenti attualmente.

Da un lato, secondo il Ministero del Lavoro gli assegni di ricerca non sono veri e propri contratti di lavoro, ma borse di studio: questa la tesi sostenuta dal Dicastero di Poletti per negare la DIS-COLL agli assegnisti. Dall’altra il MIUR, per bocca del Sottosegretario Davide Faraone ha di recente sostenuto la tesi opposta.

Ad oggi la questione è aperta ed estremamente pericolosa per i precari della ricerca e per tutti i progetti aperti H2020 che le Università italiane hanno con la UE.
Ma soprattutto fa esplodere tutte le contraddizioni normative e welfaristiche del nostro sistema verso questa fattispecie di precari della ricerca.

La conseguenza immediata e drammatica dell’intervento della Commissione Europea, in assenza di adeguati finanziamenti all’Università, è l’espulsione dal perimetro della ricerca universitaria di circa un precario su due. Senza contare l’impatto che, in assenza di una risposta governativa Italiana, avrà sulla ricerca operativa.
Non è allarmismo, bensì la constatazione che il costo dei contratti subordinati, ovvero degli RTD, è almeno doppio a quello degli assegni di ricerca, che in un sistema definanziato hanno rappresentato uno dei canali principali per garantire le attività di ricerca.

La commissione Europea, pur mettendo in grande difficoltà il sistema italiano, consente di far emergere la situazione, probabilmente non più perseguibile, del sistema dei contratti precari nell’università italiana.

Tutto questo rafforza la necessità e l’urgenza di un intervento di riforma del sistema di reclutamento che semplifichi il pre - ruolo eliminando la giungla di contratti precari anche alla luce delle disposizioni europee.

In mancanza di risposte operative, quello che accade ora è che questa decisione si abbatte come una scure su una importante fonte di finanziamento delle Università Italiane e della ricerca Italiana. 


La commissione europea ha stabilito nell’Annotated Model Grant Agreement (AMGA) con un documento divenuto noto il 26 ottobre scorso in un evento organizzato dall'APRE (H2020 Communication Campaign ‘How to avoid Financial Errors') che assegni di ricerca,  co.co.co e co.co.pro non sono previsti come costi ammissibili e quindi accettati dall'Europa per le rendicontazioni dei progetti di H2020. Quindi, di fatto, ridimensionando in maniera significativa la possibilità della rendicontazione dei c.d "Inhouse consultants".

Perchè? Le obiezioni sollevate dall'Europa sono di tipo contrattuale e tecnico, ovvero riferibili alla legge 240/2010, meglio nota come legge Gelmini (art.22) e si possono riassumere in due frasi:

1) gli assegnisti di ricerca non hanno un monte ore lavorativo correlato alla retribuzione

2) gli assegni di ricerca non sono contratti di lavoro subordinati, sono privi del vincolo di subordinazione difatti versano i contributi alla gestione separata INPS

Un'ipotesi ventilata dalla Commissione per poter far ricorso agli assegni di ricerca è quella di prevederli all'interno dei costi riferibili ad affidamenti di servizi esterni ovvero secondo la procedura della best value for money, cioè una gara di preventivi. 
Evidentemente tale ipotesi non è applicabile ai bandi sugli assegni di ricerca perchè appunto, si tratta di bandi pubblici con un concorso per titoli ed esami il cui importo è stabilito sul bando stesso e il candidato non offre certo un preventivo.
Oppure di considerarli all’interno dei Indiretti (forfettario 25%).  

Per tutta risposta il Codau (Convegno dei Direttori Generali delle Università Italiane) e l'APRE (Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea) hanno risposto all'Europa affermando che, per la realtà legislativa italiana, tali tipologie sono assimilabili ai contratti subordinati per la sussistenza di tre requisiti: la continuità, che ricorre quando la prestazione perduri nel tempo; la coordinazione, intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell'organizzazione aziendale; la personalità, che si ha in caso di prevalenza del lavoro personale del preposto sull'opera svolta dai collaboratori e sulla utilizzazione di una struttura di natura materiale”. Citando, a questo proposito diverse sentenze della Corte di Cassazione: Cassazione n. 7785 del 1997, Cassazione n. 6752 del 1996, Cassazione n. 3485 del 2001, Cassazione n. 14722 del 1999.


l Governo italiano sembra essere assai confuso in materia, ma altrettanto determinato nel mantenere la situazione attuale all’interno del mondo della ricerca. 
Infatti il Miur ha inviato alla UE una comunicazione specificando la situazione italiana e, in sostanza, richiedendo, di nuovo, il riconoscimento, come veniva attuato nel 7imo programma quadro 2007 – 2013,  delle forme contrattuali presenti attualmente. 

Da un lato, secondo il Ministero del Lavoro gli assegni di ricerca non sono veri e propri contratti di lavoro, ma borse di studio: questa la tesi sostenuta dal Dicastero di Poletti per negare la DIS-COLL agli assegnisti. Dall’altra il MIUR, per bocca del Sottosegretario Davide Faraone ha di recente sostenuto la tesi opposta.

Ad oggi la questione è aperta ed estremamente pericolosa per i precari della ricerca e per tutti i progetti aperti H2020 che le Università italiane hanno con la UE. 
Ma soprattutto fa esplodere tutte le contraddizioni normative e welfaristiche del nostro sistema verso questa fattispecie di precari della ricerca.

La conseguenza immediata e drammatica dell’intervento della Commissione Europea, in assenza di adeguati finanziamenti all’Università, è l’espulsione dal perimetro della ricerca universitaria di circa un precario su due. Senza contare l’impatto che, in assenza di una risposta governativa Italiana, avrà sulla ricerca operativa. 
Non è allarmismo, bensì la constatazione che il costo dei contratti subordinati, ovvero degli RTD, è almeno doppio a quello degli assegni di ricerca, che in un sistema definanziato hanno rappresentato uno dei canali principali per garantire le attività di ricerca. 

La commissione Europea, pur mettendo in grande difficoltà il sistema italiano, consente di far emergere la situazione, probabilmente non più perseguibile, del sistema dei contratti precari nell’università italiana. 

Tutto questo rafforza la necessità e l’urgenza di un intervento di riforma del sistema di reclutamento che semplifichi il pre - ruolo eliminando la giungla di contratti precari anche alla luce delle disposizioni europee.

In mancanza di risposte operative, quello che accade ora è che questa decisione si abbatte come una scure su una importante fonte di finanziamento delle Università Italiane e della ricerca Italiana. 



La commissione europea ha stabilito nell’Annotated Model Grant Agreement (AMGA) con un documento divenuto noto il 26 ottobre scorso in un evento organizzato dall'APRE (H2020 Communication Campaign ‘How to avoid Financial Errors') che assegni di ricerca,  co.co.co e co.co.pro non sono previsti come costi ammissibili e quindi accettati dall'Europa per le rendicontazioni dei progetti di H2020. Quindi, di fatto, ridimensionando in maniera significativa la possibilità della rendicontazione dei c.d "Inhouse consultants".

Perchè? Le obiezioni sollevate dall'Europa sono di tipo contrattuale e tecnico, ovvero riferibili alla legge 240/2010, meglio nota come legge Gelmini (art.22) e si possono riassumere in due frasi:

1) gli assegnisti di ricerca non hanno un monte ore lavorativo correlato alla retribuzione

2) gli assegni di ricerca non sono contratti di lavoro subordinati, sono privi del vincolo di subordinazione difatti versano i contributi alla gestione separata INPS

Un'ipotesi ventilata dalla Commissione per poter far ricorso agli assegni di ricerca è quella di prevederli all'interno dei costi riferibili ad affidamenti di servizi esterni ovvero secondo la procedura della best value for money, cioè una gara di preventivi.
Evidentemente tale ipotesi non è applicabile ai bandi sugli assegni di ricerca perchè appunto, si tratta di bandi pubblici con un concorso per titoli ed esami il cui importo è stabilito sul bando stesso e il candidato non offre certo un preventivo.
Oppure di considerarli all’interno dei Indiretti (forfettario 25%). 

Per tutta risposta il Codau (Convegno dei Direttori Generali delle Università Italiane) e l'APRE (Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea) hanno risposto all'Europa affermando che, per la realtà legislativa italiana, tali tipologie sono assimilabili ai contratti subordinati per la sussistenza di tre requisiti: la continuità, che ricorre quando la prestazione perduri nel tempo; la coordinazione, intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell'organizzazione aziendale; la personalità, che si ha in caso di prevalenza del lavoro personale del preposto sull'opera svolta dai collaboratori e sulla utilizzazione di una struttura di natura materiale”. Citando, a questo proposito diverse sentenze della Corte di Cassazione: Cassazione n. 7785 del 1997, Cassazione n. 6752 del 1996, Cassazione n. 3485 del 2001, Cassazione n. 14722 del 1999.


l Governo italiano sembra essere assai confuso in materia, ma altrettanto determinato nel mantenere la situazione attuale all’interno del mondo della ricerca.
Infatti il Miur ha inviato alla UE una comunicazione specificando la situazione italiana e, in sostanza, richiedendo, di nuovo, il riconoscimento, come veniva attuato nel 7imo programma quadro 2007 – 2013,  delle forme contrattuali presenti attualmente.

Da un lato, secondo il Ministero del Lavoro gli assegni di ricerca non sono veri e propri contratti di lavoro, ma borse di studio: questa la tesi sostenuta dal Dicastero di Poletti per negare la DIS-COLL agli assegnisti. Dall’altra il MIUR, per bocca del Sottosegretario Davide Faraone ha di recente sostenuto la tesi opposta.

Ad oggi la questione è aperta ed estremamente pericolosa per i precari della ricerca e per tutti i progetti aperti H2020 che le Università italiane hanno con la UE.
Ma soprattutto fa esplodere tutte le contraddizioni normative e welfaristiche del nostro sistema verso questa fattispecie di precari della ricerca.

La conseguenza immediata e drammatica dell’intervento della Commissione Europea, in assenza di adeguati finanziamenti all’Università, è l’espulsione dal perimetro della ricerca universitaria di circa un precario su due. Senza contare l’impatto che, in assenza di una risposta governativa Italiana, avrà sulla ricerca operativa.
Non è allarmismo, bensì la constatazione che il costo dei contratti subordinati, ovvero degli RTD, è almeno doppio a quello degli assegni di ricerca, che in un sistema definanziato hanno rappresentato uno dei canali principali per garantire le attività di ricerca.

La commissione Europea, pur mettendo in grande difficoltà il sistema italiano, consente di far emergere la situazione, probabilmente non più perseguibile, del sistema dei contratti precari nell’università italiana.

Tutto questo rafforza la necessità e l’urgenza di un intervento di riforma del sistema di reclutamento che semplifichi il pre - ruolo eliminando la giungla di contratti precari anche alla luce delle disposizioni europee.

In mancanza di risposte operative, quello che accade ora è che questa decisione si abbatte come una scure su una importante fonte di finanziamento delle Università Italiane e della ricerca Italiana. 


dalla comunicazione UE (europe.eu)

List of issues applicable to particular countriesItaly
Category:  WORKFORCE CONTRACTS
Issue: Contratto a progetto (co.co.pro.), Contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co),Assegni di Ricerca
Reply: May NOT be declared as personnel costs.However, they may be eligible as:Subcontracting: if the activities  covered by the contract  are part of the tasks of the action detailed in Annex 1 (e.g.:the contract is to produce deliverable X, to work on work  package Z, to carry out research work for the H2020 action)-Purchase of services: if the activities covered by the contract are not part of the tasks of the actionIn both cases the award of the contract must fulfil the specific  eligibility conditions (Article 10 or Article 13), including that  the contract must be awarded ensuring best value for money  and no conflict of interests.If the contract remunerates also other activities on top of the work in the H2020 action ( i.e. it is not exclusive for the H2020 action) the beneficiary cannot charge any part of that contracts as direct cost unless:- the contract fixes a specific amount to be paid for the  work in the H2020 action, or-there is other direct measurement of the cost  corresponding to the work in the H2020 action (example:  the contract sets a price of 100 € per test and 50 tests  have been done for the H2020 action).Otherwise that contract would be considered indirect cost  (covered by the 25 % flat-rate)    


















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